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Da Jazztrain riceviamo e volentieri pubblichiamo: Il Conte di Culagna

19/01/2012
by

Caro Thorgen,

un’opera del poeta Alessandro Tassoni, intitolata La secchia rapita, ha creato qualche scompenso psichico nei confronti dell’anellide che confonde il modenese Tassoni con il ferrarese Ariosto e la Secchia rapita con l’Orlando furioso. Volevo soltanto segnalarti alcuni divertentissimi passi tratti dal Canto X del poema eroicomico nel quale il Conte di Culagna, colui che fuor dai perigli era un Sacripante e dentro i perigli un pezzo di polmone, innamorato della guerriera Renoppia, vorrebbe avvelenare la moglie per poi fuggire con la sua nuova fiamma. Il Conte commette un grave errore, confida il suo proposito a Titta che a sua volta è innamorato della moglie di Culagna, e poi va dallo speziale a comprare un veleno, che vorrebbe versare di nascosto nella minestra della moglie. Lo speziale, però, al posto del veleno, gli dà una bustina contenente un purgante.  Intanto Titta racconta alla moglie del Conte quali sono le intenzioni del marito: costei lo ringrazia e poi… leggiamo alcuni versi:

 

XLV.
Lo ringrazia la Donna, e cauta osserva
Gli andamenti del Conte in ogni parte;
E informa del periglio ogni sua serva,
Perchè sieno a guardarla anch’esse a parte.
Il Conte fisso già nella proterva
Sua voglia, tratto avea solo in disparte
Il medico Sigonio; e in pagamento
Offertogli in buon dato oro ed argento,

XLVI.
Se gli prepara un tossico provato,

Cui rimedio non sia d’alcuna sorte;
Dicendo che di fresco avea trovato
La Moglie che gli fea le fusa torte;
E ch’avea risoluto e terminato
Di darle di sua man condegna morte.
Lungamente pregar si fe’ il Sigonio,
E alfin gli diè una presa d’antimonio.

                            XLVII.
Per tossico sel piglia il Conte, e passa
A Modana improvviso una mattina.
Saluta la moglier che non si lassa
Conoscer sospettosa, e gli s’inchina.
Va scorrendo la casa, e alfin s’abbassa,
Per dispensare il tossico, in cucina;
Ma la trova guardata in tal maniera,
Che non sa come fare, e si dispera.

XLVIII.
Torna a salir su per l’istessa scala,
Tutto affannato, e conturbato in volto;
E aspetta fin che sian portati in sala
I cibi, e sulla mensa il pranzo accolto.
Allora corre, e la minestra sala
Della Moglier col cartoccin disciolto,
Fingendo che sia pepe; e a un tempo stesso
Scuote la peparola ch’avea appresso.

XLIX.
La cauta Moglie e sospettosa, viene;
E mentre ch’ei le man si lava e netta,
Gli s’oppone co’ fianchi e colle rene,
E la minestra sua gli cambia in fretta.
Mostra che s’è lavata, e siede, e tiene
L’occhio pronto pertutto, e non s’affretta
A mettersi vivanda alcuna in bocca,
Che non abbia il Marito in prima tocca.

L.
Il Conte in fretta mangia, e si diparte,
Chè non vorría veder la Moglie morta.
Vassene in piazza ov’eran genti sparte
Chi qua, chi là, come ventura porta.
Tutti, come fu visto, in quella parte
Trassero per udir ciò ch’egli apporta.
Egli cinto d’un largo e folto cerchio,
Narra fandonie fuor d’ogni superchio:

                              LI.
E tanto s’infervora e si dibatte
In quelle ciance sue piene di vento,
Ch’eccoti l’antimonio lo combatte,
E gli rivolta il cibo in un momento.
Rimangono le genti stupefatte;
Ed egli vomitando, e mezzo spento
Di paura, e chiamando il confessore,
Dice ad ognun ch’avvelenato more.

LII.
Il Coltra e ’l Galiano, ambi speziali,
Correan con mitridate e bolarmeno;
E i medici correan con gli orinali,
Per veder di che sorte era il veleno.
Cento barbieri, e i preti coi messali
Gl’erano intorno, e gli scioglieano il seno,
Esortandolo tutti a non temere,
E a dir devotamente il miserere .

LIII.
Chi gli ficcava olio o triaca in gola,
E chi butirro o liquefatto grasso.
Avea quasi perduta la parola,
E per tanti rimedi era già lasso;
Quand’ecco un’improvisa cacarola
Che con tanto furor proruppe abbasso,
Che l’ambra scoppiò fuor per gli calzoni,
E scorse per le gambe in sui talloni.

LIV.
O possanza del Ciel! che cosa è questa,
Disse un barbier quando sentì l’odore?
Questo è un velen mortifero ch’appesta;
Io non sentii giammai puzza maggiore.
Portatel via, che s’egli in piazza resta,
Appesterà questa città in poche ore.
Così dicea; ma tanta era la calca,
Ch’ebbe a perirvi il medico Cavalca.

                             LV.
Come a Montecavallo i cortigiani
Vanno per la Lumaca a concistoro,
Respinti e scossi dagl’incontti strani,
E aprendosi la via co’petti loro;
Così i medici quivi e i cappellani
Non trovando da uscir strada nè fòro,
Urtavano respinti, e senza metro
Facean tre passi innanzi e quattro indietro.

LVI.
Ma poichè l’ambracane uscì del vaso,
E ’l suo tristo vapor diffuse e sparse;
Cominciò in fretta ognun co’ guanti al naso
A scostarsi dal cerchio e a ritirarse:
E abbandonato il Conte era rimaso;
Se non ch’un prete allor quivi comparse,
Ch’avea perduto il naso in un incendio,
Nè sentia odore; e ’l confessò in compendio.

LVII.
Confessato che fu, sopra una scala
Da piuoli assai lunga egli fu posto;
E facendo a quel puzzo il popol ala,
Il portar due facchini a casa tosto.
Quivi il posaro in mezzo della sala:
Chiamaro i servi; e ognun s’era nascosto,
Fuor ch’una vecchia che v’accorse in fretta
Con un zoccolo in piede e una scarpetta.

LVIII.

Già pria la nuova in casa era venuta,
Che ’l Conte si moriva avvelenato:
Onde la Moglie accorta e provveduta,
Aveva in fretta il suo destrier sellato;
E in abito virile e sconosciuta,
Con un cappello in testa da soldato,
Tacitamente già s’era partita,
E a trovar Titta al campo era fuggita…

6 commenti leave one →
  1. 20/01/2012 6:03 am

    Meraviglioso endecasillabo che ritrae alla perfezione il carattere del Conte che ricorda tanto quello del nostro Aristogitone.

    “Narra fandonie fuor d’ogni superchio.”
    😀

  2. 21/01/2012 6:53 am

    Un altro che narra fandonie fuor d’ogni superchio. Indovinate chi è: “Ah, ecco, sig.Train. Uno modenese e l’altro ferrarese: come confonderli?”

    Già, come confonderli, solo tu sei capace di confondere un poeta ferrarese vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo con uno modenese del XVII secolo. Vedo che in letteratura italiana sei un po’ scarso. Non mi dire che il tuo prof. era Red. Aristogitone.

  3. 21/01/2012 7:28 am

    Non farebbe male all’anellide studiare l’Orlando Furioso e in particolare i versi del Canto VIII nel quale Angelica dopo aver subito le attenzioni di un eremita (un antenato di red.?) che non riesce a sedurla perché “quel pigro rozzon non però salta.” Si trova nell’isola di Ebuda. Secondo un’antica leggenda, ad Ebuda avvenne che la divinità marina Proteo ingravidò la figlia del Re. Il sovrano, a causa dello sgarbo, condannò a morte la figlia e il pargolo e il Dio mandò una terribile Orca e tutti gli animali marini a distruggere il regno. Per evitare la catastrofe si cercò di ” 56 che trovar bisognava una donzella
    che fosse all’altra di bellezza pare,
    ed a Proteo sdegnato offerir quella,
    in cambio de la morta, in lito al mare.
    S’a sua satisfazion gli parrà bella,
    se la terrà, né li verrà a sturbare:
    se per questo non sta, se gli appresenti
    una ed un’altra, fin che si contenti.”

  4. 21/01/2012 7:34 am

    58 O vera o falsa che fosse la cosa
    di Proteo (ch’io non so che me ne dica),
    servosse in quella terra, con tal chiosa,
    contra le donne un’empia lege antica:
    che di lor carne l’orca mostruosa
    che viene ogni dì al lito, si notrica.
    Ben ch’esser donna sia in tutte le bande
    danno e sciagura, quivi era pur grande.61 Passando una lor fusta a terra a terra
    inanzi a quella solitaria riva
    dove fra sterpi in su l’erbosa terra
    la sfortunata Angelica dormiva,
    smontaro alquanti galeotti in terra
    per riportarne e legna ed acqua viva;
    e di quante mai fur belle e leggiadre
    trovaro il fiore in braccio al santo padre.

    62 Oh troppo cara, oh troppo eccelsa preda
    per sì barbare genti e sì villane!
    Oh Fortuna crudel, chi fia ch’il creda,
    che tanta forza hai ne le cose umane,
    che per cibo d’un mostro tu conceda
    la gran beltà, ch’in India il re Agricane
    fece venir da le caucasee porte
    con mezza Scizia a guadagnar la morte?

    64 La bella donna, di gran sonno oppressa,
    incatenata fu prima che desta.
    Portaro il frate incantator con essa
    nel legno pien di turba afflitta e mesta.
    La vela, in cima all’arbore rimessa,
    rendé la nave all’isola funesta,
    dove chiuser la donna in rocca forte,
    fin a quel dì ch’a lei toccò la sorte.

    65 Ma poté sì, per esser tanto bella,
    la fiera gente muovere a pietade,
    che molti dì le differiron quella
    morte, e serbarla a gran necessitade;
    e fin ch’ebber di fuore altra donzella,
    perdonaro all’angelica beltade.
    Al mostro fu condotta finalmente,
    piangendo dietro a lei tutta la gente.

  5. 21/01/2012 7:46 am

    La vicenda continua nel Canto X

    95 La fiera gente inospitale e cruda
    alla bestia crudel nel lito espose
    la bellissima donna, così ignuda
    come Natura prima la compose.
    Un velo non ha pure, in che richiuda
    i bianchi gigli e le vermiglie rose,
    da non cader per luglio o per dicembre,
    di che son sparse le polite membre.

    Ruggiero, accorso in aiuto di Angelica, combatte contro l’orca e salva la fanciulla da morte certa e nel canto XI vedendola ignuda, si dimentica della sua amatissima Bradamante.

    1 Quantunque debil freno a mezzo il corso
    animoso destrier spesso raccolga,
    raro è però che di ragione il morso
    libidinosa furia a dietro volga,
    quando il piacere ha in pronto; a guisa d’orso
    che dal mel non sì tosto si distolga,
    poi che gli n’è venuto odore al naso,
    o qualche stilla ne gustò sul vaso.

    2 Qual ragion fia che ’l buon Ruggier raffrene,
    sì che non voglia ora pigliar diletto
    d’Angelica gentil che nuda tiene
    nel solitario e commodo boschetto?
    Di Bradamante più non gli soviene,
    che tanto aver solea fissa nel petto:
    e se gli ne sovien pur come prima,
    pazzo è se questa ancor non prezza e stima;

  6. 21/01/2012 7:57 am

    Questi versi sono divertentissimi, ed è un peccato che un capolavoro come l’Orlando Furioso, libro amatissimo persino da un filosofo e matematico come il Galilei, non venga riproposto magari nella impareggiabile versione di Luca Ronconi.

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